* CHE BISOGNO C’È DI BAMBINE RIBELLI? ::

Cos’hai fatto nel weekend?

Io ho ballato, fatto giardinaggio, sono stata in compagnia e ho letto, tanto.

Ho iniziato e finito Atti osceni in luogo privato e ora ho voglia di romanzi francesi, passeggiate sui Navigli e brasserie.

Ho iniziato e finito (sì Gianluca:  ho letto tanto, puoi non essere d’accordo) Cara Ijeawele ovvero quindici consigli per crescere una bambina femminista.

Tra questi ci sono: leggere e bandire l’ansia di compiacere.
Che non si ripete mai abbastanza.

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pomeriggio, interno (ancora) giorno

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Ma quindi servono i libri per le bambine ribelli?

Tutto serve. Anche i periodi difficili, le storie complicate, le grandi rivelazioni, gli errori e i fallimenti. E serve tutto per sapere che puoi sopravvivere a tutto. E che la vita ti porta dove devi andare: a volte a ‘fanculo.

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Questa su sono io (con le mie amiche di scuola: una oggi è la mia commercialista, l’altra la persona che mi fa ridere tantissimo e sempre di tutto, anche delle tragedie).
Ho fatto la ragioneria, a Mondragone (e questo lo sai già). Ero una ragazzina con un sacco di interessi. Mi piaceva imparare le cose. Leggevo i giornali e i libri presi in prestito dalla sfornita biblioteca, ma per un periodo lungo ho fatto una cosa davvero bella: disegnavo quello che volevo indossare, sceglievo i tessuti tra gli scampoli e mia mamma realizzava il cartamodello e poi confezionava giacche, pantaloni, vestiti, camicie anni ’60 bon ton. Ho tante foto di me quelle estati vestita, fuori tempo. A volte in anticipo, a volte in ritardo.
I pantaloncini qui li avevo disegnati io.

Era il quinto anno di superiori, io come metà della classe ancora non avevamo comprato i libri.
Interrogazione di ragioneria, impreparata presi 3.
Andai a prendere il libro, iniziai a studiare. Chiesi di essere interrogata per riparare e non succcesse mai.

«Sei bella, non puoi essere anche intelligente».

Mi disse così un giorno il professore per spiegarmi che non mi avrebbe mai interrogata, intanto facevo i compiti in classe che andavano così e così, la media si alzava ma non abbastanza: arrivai alla maturità con la media del 5 in ragioneria, che manco a dirlo… era materia d’esame.

Alla fine m’importava poco, dicevo: mi serviva solo diplomarmi con almeno 50/60 per chiedere la borsa di studio all’università.
Uscii con 52 e grandi festeggiamenti miei e del mio fidanzato di allora che andava a Napoli all’università e sapeva che c’era da festeggiare (con me – che da sempre – che festeggio poco volentieri occasioni e ricorrenze). Bisognava festeggiare perché non era scontato. Non era scontato per niente: mia mamma provò in tutti i modi di farmi andare a studiare in una città vicina dove aveva appena aperto una sede distaccata della facoltà di Napoli, 20 minuti di autobus da casa.

Feci l’abbonamento per Roma, andata e ritorno in giornata: due ore al mattino con sveglia alle 5 per essere seduta in prima fila alla lezione delle 8 in aula magna. Alle lezioni di Fondamenti anatomo-fisiologici dell’attività psichica ho conosciuto quelli che ancora oggi sono pezzi della mia vita, compreso un altro fidanzato.

Ma avevo bisogno di essere brava. Dovevo farcela ed era faticoso.

E allora decisi di essere brutta.
Ero bella? Avevo paura di non poter essere anche intelligente.

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E questa con gli occhiali grossi, il maglione oversize e le scarpe col tacco di legno grosso sono ancora io, come sono stata per un po’ di anni, come mi hanno conosciuta tanti di quegli amici che poi mi hanno vista fare mille cose, quelle che raccontavo qua.

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qui sono io vent'anni fa, ma oggi stavo uguale #embas14

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Oggi però ho voglia di essere bella, ché intelligente ora so di esserlo e non doverlo dimostrare tendendo a bada i capelli, mettendo sempre la giacca, lasciando a casa – per un tempo libero che non mi godevo più – le maglie con le paillettes.

Allora cosa faccio il mio prossimo weekend libero? Prendo appuntamento con Cristina e passo una giornata a far cose da femmina che come dice lei:

Togliere, non aggiungere. Per superare il livello successivo.

 

 

 

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